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Roma Pride 2020: orgoglio anche senza parata
Dal 1994 è la prima volta che il Roma Pride non scende in piazza per rivendicare l’esistenza, i diritti e le lotte delle persone LGBTQIA+. L’emergenza della Covid19, che ha travolto tutte e tutti, ha messo in evidenza come durante il lockdown molte persone LGBTQIA+ abbiano dovuto sopportare ulteriori sacrifici e sofferenze causati dall’insufficienza, e spesso dall’assenza, di tutele legislative e politiche. In un Paese che non celebra le differenze ma anzi le osteggia ogni persona trans, lesbica, gay, bisessuale, non binaria, intersessuale, queer, asessuale, ha imparato a lottare ogni giorno per affermare la propria esistenza, conquistare visibilità e chiedere diritti. La comunità LGBTQIA+ sapeva già cosa significasse lottare contro nemici invisibili che ti rinchiudono in casa e ti allontanano dalle persone che ami, che il nemico si chiami omolesbobitransafobia o HIV, ed era già pronta a combattere. “Da sempre, lottiamo con orgoglio” non è soltanto il claim della campagna ma anche la promessa della comunità LGBTQIA+ che costantemente non smette mai di lottare. Con o senza mascherina. Perché non sarà la mascherina a contenere la nostra voce. Per questo il Roma Pride ha scelto come testimoni della campagna di comunicazione sei persone della nostra comunità, una per ogni colore della bandiera rainbow, che con le loro storie uniche ma universali, anche durante il lockdown, hanno continuato a lottare con gli strumenti più potenti che abbiamo: la visibilità e la voglia di cambiare questo paese. Un medico, una studentessa, un rider, un’infermiera, un volontario, una attivista storica. Uomini gay, trans, pansessuali, donne queer, bisessuali, lesbiche che dietro una mascherina arcobaleno nascondono la felicità e la rabbia necessari a rendere l’Italia un paese migliore per tutte e tutti. Non c’è la Parata, ma c’è il documento politico che vi proponiamo in versione integrale.
Documento Politico Roma Pride 2020 Quest’anno, a causa del Coronavirus, non potremo scendere in piazza per il Roma Pride, ma il nostro orgoglio non si ferma. Sappiamo cosa vogliamo e lotteremo per ottenerlo. A questo punto di un’emergenza non solo sanitaria, ma anche economica e sociale, crediamo che presupposti nuovi e diversi debbano essere la base per una vera ricostruzione politica e culturale del Paese. Dobbiamo costruire nuovi mondi: non vogliamo tornare alla normalità, perché la normalità era il problema. È inoltre importante che l'Unione Europea condanni con forza i recenti interventi legislativi transfobici e intersexfobici portati avanti da alcuni governi di Stati membri durante la pandemia. Siamo consapevoli che il contrasto dell'omo-lesbo-bi-trans-intersex-afobia rappresenti una complessa sfida culturale da affrontare e vincere anche all'interno della nostra stessa collettività, avviando un processo di discussione interno e inclusivo. Le nostre famiglie sono anche le relazioni poliamorose e in generale tutte le forme alternative di affettività, le nostre amicizie, i luoghi che abbiamo deciso di vivere quotidianamente, fondati su rapporti paritari e di reciproco aiuto. Da questa emergenza, è inoltre emerso con ancora più forza che il diritto alla salute deve essere garantito attraverso investimenti consistenti alla sanità pubblica, gravata da anni di tagli, esternalizzazioni e privatizzazioni. Diritto alla salute significa anche occuparsi del benessere psicologico delle persone, senza stigmatizzazione o banalizzazioni. Non si può pensare che, a causa delle emergenze, altri diritti, già a rischio, vengano ulteriormente messi in discussione: il diritto all’aborto sicuro e gratuito, l’accesso alle cure e ai farmaci per garantire un’esistenza felice e dignitosa e, più in generale, a tutte le pratiche di autodeterminazione sui nostri corpi e sulle nostre vite. In particolare, come soggettività trans* e non binarie, abbiamo sperimentato una condizione di sospensione ancora maggiore, già gravata dal fatto che le nostre vite possono essere messe in pausa dal potere delle parole di personale giudiziario, medico e psichiatrico. Per questo chiediamo il riconoscimento delle nostre identità, indipendentemente dai percorsi di transizione già intrapresi, e in ogni caso fuori da percorsi di patologizzazione obbligata, partendo dal superamento della legge 164/82, che porti anche all’inserimento nei LEA (livelli essenziali di assistenza) dei percorsi di affermazione di genere. A maggior ragione, come persone intersex dobbiamo avere il diritto di scegliere se e quando intervenire sul nostro corpo, impedendo che venga fatto alla nascita dal personale medico, senza il nostro consenso. Nell’immaginare il nostro futuro non ci accontentiamo di misure pacificatrici e non ci sottraiamo a dare voce ad istanze che attraversano e superano la nostra comunità. Immaginiamo un futuro femminista e transfemminista, fondato sull’autodeterminazione delle donne e dove non ci sia spazio per la violenza maschile e patriarcale. Durante il lockdown, inoltre, come donne abbiamo maggiormente subìto il peso del lavoro di cura e domestico, di cui ci siamo dovute occupare rinunciando alle nostre vite. Immaginiamo un futuro ecologista, dove sia garantito il diritto all’esistenza e dove gli spazi pubblici e le nostre città non siano solo vetrine per turisti ma spazi inclusivi di ogni soggettività, spazi aperti in cui poter vivere, divertirsi e sentirsi libere di essere e camminare. Immaginiamo un futuro dove il predominio e privilegio bianco venga finalmente superato; sosteniamo la lotta del movimento BlackLivesMatter che mette in discussione anche il razzismo istituzionale e strutturale del nostro Paese. Immaginiamo un futuro dove i diritti non si debbano meritare. Un futuro dove la dignità delle persone migranti non sia un “premio” da concedere perché il nostro lavoro è necessario, ma il riconoscimento di ciò che ci spetta; dove il sostegno alle persone economicamente fragili non sia né la paghetta dello Stato-padre che ci dice come dobbiamo vivere, né qualcosa da guadagnarci attraverso dei lavori socialmente utili. Immaginiamo un futuro in cui i saperi siano liberi e l’istruzione gratuita e di qualità, in cui sia garantito l’accesso libero fino ai più alti livelli del sapere e venga permesso anche alle persone più vulnerabili il diritto allo studio. Immaginiamo un futuro in cui venga tutelato il lavoro e il diritto ad un’esistenza degna, tenendo conto delle soggettività più a rischio: la nostra comunità sarà infatti tra le più colpite in termini di opportunità e vulnerabilità nel post emergenza. Lo Stato deve farsene carico, garantendo politiche pubbliche di sostegno al welfare, istituendo un reddito di base universale per garantire un’esistenza degna e autonoma: tutto questo dovrebbe emergere da un ripensamento delle dinamiche economiche e dovrebbe essere affiancato ad una politica di redistribuzione della ricchezza che abbatta le pesanti diseguaglianze esistenti. Immaginiamo un futuro in cui l’esperienza mutualistica, la solidarietà e la cooperazione siano riconosciute come fondamenta imprescindibili, dove le associazioni di volontariato e le reti sociali siano sostenute dallo Stato nel loro compito di arginare il disagio economico e le sue conseguenze e dove costruire comunità solidali ed egualitarie per non lasciare indietro nessuna persona. Il senso di comunità generato dalla e nella crisi deve germogliare, per poter costruire un nuovo spazio del possibile, ribaltando un’impostazione monolitica della società che esclude ed emargina. Siamo state rintanate per molto tempo. Uscire fuori non era previsto. Vederci, riunirci, persino toccarci, ci era vietato. Non parliamo degli ultimi mesi. Parliamo degli ultimi secoli. Millenni, forse. Per troppo tempo abbiamo fatto finta che ci andasse bene così. Poi, abbiamo cominciato a lottare e dal quel giorno, non ci siamo più fermati. E quando è stato il mondo a doversi fermare, noi eravamo già pronte a lottare. Perché in fondo, dentro o fuori, lo facciamo da sempre. Da sempre, lottiamo con orgoglio.
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Domenica, 28 Aprile 2024 03:13:20 CercaThis Web Site can be translated to your language:
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