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E dall’HIV nasce “POZ!”

 

appoz-by-federico-salis

Matteo Sedda ha scoperto di essere sieropositivo nel 2016 e ha deciso di parlarne anche con una performance teatrale. Sarà A Parigi il 4 settembre e il 28 Novembre al Cultural Center De Werft di Geel in Belgio.






 

 

“SILENCE=DEATH” “Il silenzio uccide” lo sosteneva anche il gruppo “ACT UP” nato nel 1987 per combattere la lotta contro l’AIDS. Dopo tanti anni le terapie hanno fatto passi da gigante e le persone sieropositive che le assumono regolarmente non possono più trasmettere il virus, eppure il pregiudizio confronti dell’HIV non è mutate. Per questo Matteo Sedda ha deciso di comunicare la sua sieropositività e ha realizzato una performance teatrale per farlo nel modo a lui più consono.
Ed è proprio l’artista a raccontarci come è nato “POZ!” che il 4 settembre sarà a Parigi durante il Festival Jerk Off e il 28 Novembre al Cultural Center De Werft di Geel in Belgio.
Seguendo il link si può vedere il trailer dello spettacolo.


D. Com’è nata l’idea di “POZ!”?
R. Nel giugno del 2016 ho scoperto di essere sieropositivo. É stata una notizia che ha portato un forte cambiamento nella mia vita. Un cambiamento non fisico, ma una scossa a livello mentale.
Lo stigma sociale mi ha fatto entrare in una sorta di bolla e da un giorno all’altro mi sono ritrovato a combattere la mia battaglia più difficile. Ero totalmente perso a tal punto da volere lasciare il teatro. Avevo molta paura e l’unica cosa che volevo fare era stare da solo.
Un giorno mi ritrovai a leggere un bellissimo articolo di Jeff Leavell intitolato “Getting Diagnosed with HIV taught me how to live”.
Ed é lì che è cambiato tutto.
La terapia che sto seguendo mi permette di vivere come una persona qualsiasi senza contagiare nessuno.okpaolo-ferreri---poz-2 Tutto questo grazie a quei singoli o gruppi di persone come “Gran Fury” o “Group Material” che sono venuti prima di me e che con le loro battaglie o semplicemente con la loro vita hanno dato la possibilità alle persone sieropositive di vivere e di andare avanti.
Prima di ciò pensavo che nulla di brutto potesse succedermi, ero immortale. Specialmente noi giovani viviamo come se non ci fosse un domani, ma da un momento all’altro tutto può cambiare. L’HIV mi ha riportato a terra facendomi capire che tutto ciò che riteniamo importante è superfluo. Ho capito quanto sia preziosa la nostra salute, gli amici e la famiglia.
La vita è solo una e non voglio più sprecarla, senza mai rinnegare ciò che ho fatto, perchè è anche il passato a determinare ciò chi sono oggi e chi sarò.
Da qui è nato lo spettacolo “POZ!”.
Voglio prendere tutto il male che l’HIV porta dietro di sé e capovolgerlo, trasformarlo in qualcosa di magico. Urlare al mondo che sono sieropositivo e combattere questa battaglia mi fa capire che cosa è per me la vita.
Anche se la sofferenza ti lascia in silenzio, bisogna parlare, perché è l'unico modo per sopravvivere.
Non per altro l’icona politica più conosciuta nella lotta contro l’AIDS è “SILENCE=DEATH”, usata anche dal famosissimo gruppo ACT UP, nato nel 1987.


D. Hai avuto difficoltà a trovare fondi per realizzare la performance?
R. Questa è una bella domanda.
Per i giovani creatori è molto difficile ottenere i fondi. Soprattutto perché bisogna seguire determinati requisiti che richiedono tempo e alle volte conoscenze. Quindi tutto ciò che ho speso per questo spettacolo è stato di tasca mia, ma sono contento di averli usati per una causa che mi ha aiutato a star bene. Posso però ringraziare Troubleyn/Jan Fabre che ha sostenuto finanziariamente una parte della creazione oltre che a dare gli spazi. Exarte Cagliari e Jerk Off Festival mi hanno sostenuto lasciandomi i loro spazi per la creazione e la LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids), specialmente quella di Cagliari con a capo Brunella Mocci, e tantissime altre realtà europee mi hanno e mi stanno aiutando per la raccolta delle bottigliette vuote usate dai sieropositivi, che uso come oggetti di scena. Ringrazio inoltre Alessandre Ferreri e Joshua Vanhaverbeke che mi hanno aiutato nella creazione dello spettacolo e con i quali la collaborazione continua tuttora per altri nuovi progetti. Insieme abbiamo deciso di creare di recente “vitamin”, una piattaforma di mutuo aiuto per arti performative attraverso la quale produrremo i nostri futuri lavori.


D. A giugno, durante la PrideWeek, lo spettacolo si è tenuto a Milano presso la DanceHaus, e in futuro dove si potrà vedere?
R.
Ne approfitto per ringraziare la Dancehaus e la PrideWeek di Milano per la meravigliosa opportunità che mi è stata data. Ci tenevo tantissimo perché Milano è la mia seconda casa, dove ho studiato e sono cresciuto.

Andrò in scena il 4 settembre a Parigi durante il Festival Jerk Off e il 28 Novembre al Cultural Center De Werft in Geel (Belgio).
Sto lavorando per ottenere più date possibili e dovrebbero arrivare nuove possibilità in futuro.


D. Perché hai deciso di fare coming out sulla sieropositività?
R.
Perché mi sento una persona fortunata. Ho una famiglia e tanti amici che mi supportano e penso che grazie al loro amore sono riuscito ad uscire da quella bolla di cui ho parlato prima. Ma so che per tantissimi okpaolo-ferreri---poz1ragazzi non è così. Molti non muoiono per l’HIV di per sè, ma perché non riescono a sopportare il peso della paura e ad uscire da questo tunnel oscuro.

Ho deciso di usare il linguaggio della performance, che è quello che mi è più consono, per dire al mondo che essere sieropositivo non è una condanna a morte. Non c è nessuna colpa morale o etica. Non ammettere la propria sieropositivà vuol dire tenersi dentro un peso enorme, questo spettacolo e questo coming out mi ha dato la possibilità di gettare via questo peso che mi ha reso definitivamente libero.
“POZ!“ è una sorta di purizificazione.
Spero veramente che questo spettacolo possa raggiungere quelle persone che in questo momento si sentono perdute e sole, come mi sono sentito io anni fa.


D. Come è stato accolto in famiglia e tra gli amici? E nell’ambiente di lavoro?
R. È stato accolto con tranquillità. Ovviamente la prima reazione per molti è stata la preoccupazione, che nasce dal senso di protezione.
L’Italia, ma come tutta l’Europa, non usa le sue forze per informare e aggiornare. Ho dovuto spiegare a tante persone che non siamo più negli anni ‘80-‘90 e si può vivere tranquillamente seguendo una terapia non invadente. Fortunatamente il mondo del teatro e dell’arte è molto aperto su questa tematica, il problema nasce quando questo tipo di lavoro dev’essere esposto ai festival e quindi al pubblico, allora inizia il problema. C’è tantissima paura, soprattutto perché tratta di un’esperienza reale e messa sul palco nuda e cruda. Mi è stato detto addirittura che l’HIV non va più di moda e non fa più scalpore. Posso “più o meno accettarlo” da festival comuni di teatro ma quando sento questi discorsi da festival queer allora inizio a capire il vero grave problema di fondo.


D. Credi che nei confronti dell’HIV e delle persone sieropositive ci sia ancora discriminazione
R.
Sì. Veramente tanta.

È la paura di un qualcosa che non si conosce e non si vuole conoscere e che quindi porta all’atto discriminatorio. C’è tantissimo lavoro da fare, e questo fa capire che ci sono gravi problemi nella società. Lo stesso Wojnarowicz disse che quando aveva contratto questo virus aveva immediatamente capito che aveva contratto anche una malattia della società. È quindi un problema che va ben oltre la malattia stessa. L’HIV è legato nell’immaginario collettivo al sesso, e il sesso è uno dei più importanti campi di battaglia, dove la morale, il giudizio, la fanno da padrone. Se si pensa al 1981 quando il New York Times pubblicò un articolo definendo l’AIDS il cancro dei gay, molti furono felici pensando allo sterminio selettivo di una parte anomala della società, all’eliminazione di coloro che minacciano l’integrità del “corpo sociale”(uomo bianco eterosessuale), sfruttando addirittura il nome di Dio e della legge naturale. Ancora oggi il pensiero latente e traversale in ciascuno di noi è sempre per chi viene contagiato un sintetico e intimo: se l’è cercata!
Ma si parla anche di taboo e imposizioni della sessualità e alla poca informazione che c è su di esso e da questo nascono tutte le problematiche che ne derivano. Non mi stupisce tra l’altro che ci siano più finanziamenti per i metodi in via di sperimentazione per il vaccino contraccettivo o immunocontraccezione, tutte microtecnologie di gestione della soggettività sessuale che finanziamenti per sviluppare metodi di prevenzione o un vaccino contro il virus dell’AIDS.
Si sa, l’AIDS è anche un grandissimo business.
Quante persone mi hanno chiesto cosa fosse l’AIDS? Troppe!
Dobbiamo aspettare una nuova epidemia per far sì che le persone capiscano che bisogna veramente fare qualcosa a riguardo? Spero di no.




Chi è Matteo Sedda
Diplomato all'Accademia di danza contemporanea DANCEHAUS di Milano, diretta da Susanna Beltrami, dovematteo sedda bymarcel-lennartz ha lavorato per la sua compagnia. Ha studiato anche con diversi artisti come Peter Brook e Robert Wilson.
Dal 2015 collabora con l'artista visivo Jan Fabre per lo spettacolo “Mount Olympus / 24h” e l'assolo “THE GENEROSITY OF DORCAS”. Dal 2016 si esibisce per il coreografo contemporaneo italiano Enzo Cosimi per le produzioni “CORPUS HOMINIS” ed “ESTASI”.
Lavora anche come coreografo e danzatore per differenti high fashion brand e video musicali.

 

La foto di apertura è di Federico Salis, quelle nell'articolo sono di Paolo Ferreri e quella di Matteo Sedda è di Marcel Lennartz.

 

 

 

 

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