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Stare con gli ultimi, una mission per le persone transessuali
No, non è una rivisitazione delle parole del profeta ebreo Yeshua – quelle che poi i cristiani hanno raccolto nei Vangeli – né una forma di buonismo rivoluzionario. (...) E’ una dichiarazione di volontà, di mission come si usa dire oggi, la mia personale mission, in questi anni della maturità, è stare con gli ultimi. E chi sono oggi gli ultimi? A girare lo sguardo a 360° intorno a noi, di persone che a ragione rispondono a questa definizione ve ne sono diverse, troppe. I primi che mi vengono in mente sono i Migranti ai quali si uniscono immediatamente le affamate popolazioni di quello che un tempo, non senza un’alterigia inopportuna, veniva definito il Terzo mondo. Oggi, in epoca di Globalizzazione, questo mondo di oppressi e sfruttati è arrivato in mezzo a noi, e noi non possiamo più essere gli stessi. Ma gli ultimi sono anche i nostri vecchi, quelli che non servono più alla macchina produttiva della società consumistica, e che semmai hanno bisogno di servizi, assistenza, risorse economiche. E accanto a questi, quotidianamente, si aggiungono le lavoratrici e i lavoratori di mezza età, per intenderci quelli troppo anziani per trovare un lavoro ma ancora troppo giovani per aver diritto a una pensione. E poi i precari, quelli senza tutele sindacali, i lavoratori in nero. Ultime sono le persone che soffrono di patologie invalidanti o di handicap, per le quali il Welfare disponibile si riduce ogni giorno, ad ogni “piano di Stabilità”. E così, con questo incivile elenco, potrei continuare per parecchio, ma… Ma c’è un gruppo di persone che sono ultimi per un intrecciarsi perverso di ragioni, e che quindi alla fine sono più ultimi degli ultimi. Mi riferisco alle persone transessuali. Quelle persone che sui nostri mezzi di comunicazione, giornalisti ignoranti e superficiali, nominano solo al maschile (i transessuali), ma dei quali sono insaziabili. Difatti cosa c’è di meglio di un gustoso fatto di cronaca se tra i coinvolti c’è anche una persona transessuale? E’ solo in questi casi, provate a ricordare, che la nostra società globalizzata e consumista si ricorda di loro. Ormai quando vengono violentate o picchiate ci si accontenta di un trafiletto, o neppure, perché comunque è una consuetudine che non fa neppure più notizia, il cinismo del Quarto potere non ha bisogno di ulteriori sottolineature… Per il resto funziona quello che l’immaginario collettivo produce, un immaginario istruito (ma sarebbe meglio dire “traviato” o “corrotto”) da decenni di malainformazione. Così la maggior parte della popolazione associa alla persona transessuale lo stereotipo di altre disgraziate componenti di questa nostra assurda società, e cioè i viados, le prostitute di strada, le escort per serate a base di coca e festini hard. In pochi, pochissimi, sanno esattamente di chi stiamo parlando, di qual è l’esistenza alla quale sono costrette/i, cosa prevede per loro la normativa vigente, e a cosa vanno incontro nella pratica della loro vita quotidiana. Io sono una persona omosessuale, anche se da qualche hanno preferisco definirmi una Queer, ma preferirei non essere costretta più a definirmi né per il Genere né per il mio orientamento sessuale. Se ciò fosse possibile, questo significherebbe che finalmente il pianeta nel quale vivo sta iniziando a migliorare, sta uscendo dall’eterosessismo, da quella logica binaria secondo la quale esistono soltanto due generi – il maschile e il femminile – e tutto il resto è anormale, degenerato e immorale. Quindi da condannare, punire, reprimere. E allora, dopo aver ragionato senza alibi e/o giustificazioni meschine, ho deciso di intraprendere questa mission: difendere i diritti dei più ultimi degli ultimi, quelli delle persone transessuali. Lo farò secondo i metodi che mi sono propri, e perciò a mezzo di scrittura e azioni nonviolente, sarò quindi pronta a prestare ascolto, e ad accogliere e a sostenere il disagio.
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Venerdi, 19 Aprile 2024 16:52:57 CercaThis Web Site can be translated to your language:
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