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Il suicidio come affermazione di sé

 

 

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Il suicidio non è una scelta, va tutelato il Diritto della Persona e non c’è un Diritto che prevale sull’altro.





 

Condannato come “peccato mortale” dalla chiesa cattolica, in questi anni di estrema difficoltà –economica, morale, culturale- il suicidio ricorre sempre più spesso nelle nostre cronache quotidiane. Oggi è un ragazzo gay di 17 anni, che scrive a La Repubblica, spiegando che quella lettera è la sua “unica alternativa al suicidio”.

Io, che a lungo ho frequentato il suicidio, mi permetto, di scrivere queste poche righe perché ancora spero in un risveglio delle coscienze.

Da bambina rimasi scioccata, e durò per anni, dal suicidio politico del giovane Jan Palach. Il giovane patriota cecoslovacco decise di trasformarsi in “una torcia umana” per “esprimere la nostra protesta e scuotere la coscienza del popolo”: così lasciò scritto egli stesso nei propri appunti. Appunti che furono ritrovati accanto al luogo da lui scelto per dare fuoco al suo corpo, il 16 gennaio 1969 a Praga.

Ma restare sconvolti da un destino non ci mette al riparo dal finire assoggettati alla stessa sorte. E il suicidio non è una scelta.

Così come non scegliamo di avere una pelle differente da quella bianca, così come non scegliamo il genere nel quale vivere o la sessualità che ci contraddistingue o il luogo nel quale nascere.

Nella scelta è insito un atto di volontà, esercitato liberamente dal soggetto.

E chi, avendo una possibilità diversa, sceglierebbe per sé una pelle di colore, un genere transgender, una sessualità non-etero?

E quindi chi sceglierebbe per sé il suicidio se, anche molto lontanamente, gli si offrisse una qualche forma di alternativa?

 

Ero un’adolescente molto in difficoltà. Di fronte alla presa di coscienza di me stessa, tipica dell’età, capivo di essere diversa dalle mie compagne: io mi innamoravo di donne.

Sempre in solitudine scoprii che il mio genere di Persona era definita con un termine che da subito riceveva un’accezione negativa: lesbica.

Ne fui così traumatizzata che a 16 anni, davanti all’ennesimo innamoramento per una mia coetanea, non potei fare altro che condannarmi e, dopo questo inappellabile rifiuto di me stessa, tentare il suicidio.

Mi salvò la composizione del sonnifero che scelsi, non era letale.

Ma in questo modo, oltre al dolore di aver fallito si aggiunse la vergogna per le ironie familiari.

 

Ho scritto, all’inizio, che io sono una “frequentatrice del suicidio”, difatti mi capitò in altre occasioni di essere a un passo da… o di provarci ancora… E ogni volta, a ben guardare, la ragione era nella mia diversità, nella coscienza di essere qualcosa che la società e la famiglia condannavano, di non avere quindi diritto a esistere per ciò che ero.


Oggi leggo di questo ragazzo gay che a 17 anni manda una lettera a La Repubblica come “unica alternativa al suicidio”. Egli dichiara di scrivere “spinto dalla
notizia di un gesto avvenuto nella cattedrale parigina. Un uomo, un esponente di destra, si è tolto la vita in modo eclatante sugli scalini della famosa chiesa per manifestare il proprio disappunto contro la legge per i matrimoni gay deliberata dall'Assemblea Nazionale francese” (il riferimento è al gesto di Dominique Venner).

 

Praticamente ogni giorno leggo di uomini e donne che si suicidano a causa della crisi economica in atto, ormai da anni. Persone che hanno perso la dignità del lavoro, che non sono più stati in grado di mantenere la propria famiglia o pagare gli stipendi ai propri dipendenti. Persone strozzate da Equitalia, dall’ultima banca di turno o da un qualsivoglia delinquente dedito allo strozzinaggio. Leggo di intere famiglie sterminate dalla mano di un padre o di una madre che, oltre a sopprimere se stessi, rinunciano a immaginare ogni possibile futuro uccidendo anche i loro figli.

E poi, nel tragico conto dei suicidi, ci sono carabinieri, guardie giurate, migranti, detenuti.
Se ne vanno da soli, oppure trascinando con sé amati o nemici.

 

Nella lettera pubblicata su La Repubblica, il giovane gay conclude il suo messaggio scrivendo “chiediamo solo di esistere” e io lo ringrazio per questo suo atto di coraggio, per aver fatto coming out di sé e della sua condizione ma, perché questa sua richiesta abbia significato e valore, questa sua richiesta a veder riconosciuto il diritto fondamentale della Persona, deve essere estesa a tutti, al Diritto della Persona.

Spesso sentiamo invocare quanto i Padri fondatori della Repubblica italiana hanno scritto negli articoli della nostra Costituzione, in special modo il “diritto al lavoro” riportato all’articolo 1: L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Scusatemi, ma io non sono d’accordo.

La Persona dev’essere tutelata nel suo Diritto. E non c’è un Diritto che possa prevalere su un altro.

Non vi è una possibile sperequazione sui diritti come non può esserci tra una persona e un’altra.

 

In questo tempo, il Potere economico di pochi -e la collusione con esso di politici e Mass media, di leader e ideologie- sta conducendo la specie umana sull’orlo di un abisso rendendo opzionale anche il suo diritto alla sopravvivenza.

Ma non è riducendoci a “chiedere solo di esistere” in quanto gay o migranti, o detenuti o transgender o donne o vecchi o poveri o… che possiamo sperare di ottenere il diritto a essere.

Noi dobbiamo avere chiaro che per prima cosa occorre rifiutare la logica del particolarismo.
Non esistono i diritti.

Esiste il Diritto della Persona, inalienabile inopinabile incontrovertibile, ed è di questo che dobbiamo prendere coscienza. Per questo Diritto della Persona dobbiamo scendere di nuovo in piazza, innalzare barricate, se necessario, e lottare con ogni nostra energia.

 

La catena tragica dei suicidi deve risvegliarci.

Noi non possiamo, non dobbiamo limitarci a partecipare a questo dolore –oggi di altri ma domani, chissà…- noi dobbiamo unirci nella reazione.

E reagire contro il suicidio, come contro qualsiasi atto di violenza, significa rifondare il Diritto della Persona, in ogni sua possibile declinazione.
Flaminia P. Mancinelli





Commenti   

 
#2 Darianna Saccomani 2013-05-25 14:39
Sul Suicidio
sabato 25 maggio 2013 by Darianna Saccomani ·

Sollecitata dall'amica Flamina P. Mancinelli, per quanto scrive nel suo articolo su:
http://www.pianetaqueer.it/editoriale/292-il-suicidio-come-affermazione-di-se.html
Mi trovo a riflettere se, effettivamente, sia plausibile e considerabile il Suicidio come atto politico di rivendicazione.
Ho spesso pensato al suicidio, le tre volte che ci ho anche provato erano prodotte dalla stanchezza della vita nel suo insieme, dal senso profondo di inutilità che ogni tanto mi pervade. Non sono mai riuscita a trovare un senso "politico" al suicidio, se non nell'attuazione di una decisione politica presa da altri di eliminazione fisica di chi si pone fuori dagli schemi, dagli stereotipi, dagli standard determinati e voluti da una logica volutamente programmata in senso biopolitico.
Se penso al suicidio, penso di farla finita semplicemente, perché stufa di dover combattere, stufa di aver intorno persone che mi spingono quotidianamente a questa stanchezza feroce di vivere. Stufa di vedere calpestato il mio diritto a partire dalle persone che mi sono intorno alla mia esistenza.
Dico "intorno" perché, evidentemente, queste persone non riescono, non possono, non hanno la forza neanche loro per potermi essere almeno "vicine". Non le giudico, non le accuso, semplicemente prendo atto di qualcosa che accade, di qualcosa che "subisco" quotidianamente.
Il mio diritto di esserci come persona lo sento negato da chi si rivolge a me, spesso neanche salutandomi, oppure subito partendo con il suo "terribile" nuovo problema del giorno; oppure scaricando, senza preamboli e senza chiedere il permesso, la sua ansia del momento; che nel raro momento in cui anche io provo a dire che sto male ... subito loro stanno sicuramente peggio e quindi chiedono, chiedono, chiedono, chiedono.
Il mio diritto di esserci è negato quotidianamente nell'incapacità di vedermi come persona e non come supporto, come consiglio, come salvagente, come portatrice inesausta di soluzioni.
Il mio diritto di esserci come persona è negato, perché sono solo ascoltatrice, figlia, sorella, compagna, collaboratrice, leader di qualcosa che non so neanche se esiste.
Il diritto è negato a partire dalla incapacità di relazionarsi, di rapportarsi, di guardare ed ascoltare, nell'assurdo essersi piegati ad un sistema dove l'altro da sé c'è solo nella misura che "serve" e che è capace di dare risposte; al quale solo qualche volta gli si concede di fare domande e, solo se a noi utile, ci si prodiga nel dargli una possibile risposta.
Il diritto è negato proprio a partire da noi, che siamo le prime persone che tale diritto non lo conoscono e non lo riconoscono all'altro! Troppo sofferenti per poterci accorgere che anche gli altri da noi soffrono; troppo impegnati per poter distoglierci quell'attimo per dire “ciao”!
Il diritto soggettivo della persona, rappresenta il principio strutturale di un'azione politica che parte da noi, che trasforma il nostro ambito sociale da persone “intorno” a persone “vicine”; il diritto soggettivo della persona è il principio che ci dovrebbe muovere ad approssimarci all'altro da noi.
Troppo spesso ci si dimentica che anche il termine “io” è un duale, quindi nella sua fattispecie un plurale. Forse neanche lo sappiamo! Il suicidio non è atto politico teso all'affermazion e del diritto soggettivo della persona, proprio perché è l'affermazione del mio soggettivo diritto come prioritario su ogni altro diritto soggettivo! È espressione dichiarata del solipsismo di pensiero politicamente conforme a chi non è nello standard! Può essere sublimazione del pensiero politico di un soggetto come Dominique Venner che è stato da sempre portatore di assoluti di riferimento, che ha prodotto discepoli nella affermazione di assolute verità, le quali si vogliono estendere a tutti a partire da sé come principio di questa verità. Inammissibile per costoro, ricercatori strenui della verità assoluta, quella “vera”, l'idea che ogni diritto è una verità in dialogo con altre verità in dialogo; impensabile, per costoro, anche solo l'idea di relazionarsi e rendere possibile anche la pluralità dei soggetti tutti in egual misura portatori del loro specifico diritto soggettivo. Lui si è suicidato vedendo negata la sua verità assoluta! Chi pensa il suicidio come atto politico, in fondo, ritiene assoluta la sua verità, tanto da affermarla con la sua stessa morte!
Il diritto soggettivo della persona si regge e si sviluppa nell'assunzione piena della propria responsabilità, la quale si mette in dialogo e non si impone, e nella quale vive pienamente la propria libertà.
Il Diritto soggettivo della persona è l'espressione più alta contro ogni forma strutturale, culturale, politica, economica e sociale di egocentrismo, e parte dalla nostra quotidiana esistenza nella quale si deve aprire noi stesse e noi stessi ad un ascolto reale dell'altro, prima ancora di voler essere noi stesse e noi stessi ascoltati.
No! Il suicidio non è atto politico che affermi il Diritto soggettivo della persona!

tratto da:
http://darianna-cosechepenso.blogspot.it/
Citazione
 
 
#1 Darianna Saccomani 2013-05-25 14:08
Rifletto su questo tema, e rimando a quanto scritto su:
http://darianna-cosechepenso.blogspot.it/
Citazione
 

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