Hai deciso di non utilizzare i cookies. Questa decisione puo' essere cambiata
Hai accettato di salvare i cookie sul tuo pc. Questa decisione puo' essere revocata
|
|||
Il Diritto di soffrire con Dignità
Se ne avete voglia, potete leggere il mio diario relativo al ricovero che ho dovuto sostenere nei giorni scorsi, nell’Ospedale di Anzio-Nettuno, a causa di un piccolo intervento.
Dimessa, ho sentito l’assoluta necessità di scrivere questo breve resoconto perché ciò cui ho assistito mi ha colpita profondamente. E, sia chiaro, non è trattato di fatti di Malasanità che mettevano a rischio la salute dei degenti, ma di qualcosa -a mio parere- di più
Così come non fa scandalo un gay picchiato -è solo UNO dopotutto-, così restiamo indifferenti di fronte alla Malasanità che tratta i ricoverati come numeri. C’è “scappato” il morto? No? E allora tirammeinnanzi!
So che esitono comitati e associazioni che tutelano i diritti del malato, ma forse troppo poco si fa nei luoghi Istituzionali, i Politici della nostrana Casta vivono e respirano un’aria troppo diversa rispetto a quella dei loro concittadini e nessuno di loro quindi è costretto ad immedesimarsi e a capire.
A me sono bastati 5 giorni di ricovero per capire che anche in questo settore siamo scesi troppo in basso, davvero troppo per poterci ancora definire una Società civile...
Mangiare la minestra con la forchetta
Non fosse che queste piccole vicende riguardano una categoria non protetta, e cioè i malati, quasi quasi verrebbe anche da ridere. Ma visto che i protagonisti di queste povere storie sono degenti, persone inferme e debilitate la reazione consona alla situazione nella quale sono costretti a sottostare per curarsi, fa tutt’altro che ridere, anzi, quello che ci suscita è un moto di rabbia, di collera senza fine.
- Il luogo: Ospedali Riuniti Anzio-Nettuno (Azienda USL Roma H) Reparto di Chirurgia.
Ricoverata per una stupida operazione di Colicistectomia Laparoscopica (asportazione della cistifellea affetta da calcolosi) ho trascorso giorni e notti a guardare e a registrare quanto accadeva a me e a chi mi stava accanto, perfettamente cosciente di essere una privilegiata: salvo imprevisti, la mia degenza sarebbe durata pochi giorni, non sono vecchia e nel mio soggiorno ero supportata dalla presenza quasi costante di persone a me care. Nonostante ciò non ho potuto evitare di immaginare le situazioni degli altri pazienti, molti di quelli ricoverati che per età avanzata o per gravità del loro stato psico-fisico subivano privazioni e alienazioni senza potervisi opporre in alcun modo.
Venendo accettati in reparto, si ha l’attribuzione di un letto, un posto letto che ha un numero – il mio era il 17. E immediatamente vi è la prima spersonalizzazione: tu non sei più Maria o Giuseppe, né Chiara né Luca; tu sei il numero del tuo letto e con quello non solo sei identificato, ma quel numero diventa l’essenza di te, la tua personificazione. Mi direte: è per praticità, è più razionale, una questione organizzativa. Se poi il Protocollo –ed è qui che entrano in causa i Responsabili- è stato realizzato per sottostare a tagli e a riduzioni di spese non solo non può prevedere né compassione né pietà, ma peggio diventa un congegno spietato e crudele che subiscono i più fragili tra di noi.
FATTI DI VARIA GRAVITA’ L’affidamento della gestione della Sanità pubblica alle Regioni ha fatto sì che a seconda di dove un cittadino italiano risiede le cure che riceve in caso di ricovero siano diverse. E già questo, mi sembra, è un’evidente mancanza nei confronti dei dettami della Costituzione. Faccio questa premessa perché quanto accaduto negli Ospedali Riuniti Anzio-Nettuno, secondo me, in altre Regioni non si verifica. Di sicuro ci sono Regioni dove nessuno si è appropriato in modo illecito dei finanziamenti destinati alla Sanità, dove non ci sono stati casi di appalti gonfiati/truccati, dove non ci sono state collusioni criminali. Ma qui nel Lazio, il cosiddetto “buco nero” della Sanità ha numeri stratosferici, e visto che bisogna rimettere in ordine i conti, bisogna tagliare, e i tagli su chi pesano? Ogni giorno assistiamo alla risalita dello Spread, a gente che perde il lavoro, a gente che si suicida perché non riesce a pagare tasse e contributi. Ma in questa situazione di crisi vi è una parte di popolazione -i degenti di molte strutture sanitarie italiane- che ogni giorno si vedono negati i loro diritti fondamentali. Primo tra tutti la dignità.
Nei bagni del reparto Chirurgia dell’Ospedale non c’è né sapone né carta igienica, né alcuno strumento per asciugarsi. Alle timide rimostranze di un’anziana degente, l’incaricata di una ditta che ha appaltate le pulizie ha risposto: “La carta igienica è una cosa personale, a me farebbe schifo usare il rotolo usato da un altro.” E così l’anziana donna è stata costretta ad andare a mendicare dagli altri ricoverati un po’ di carta, e per lavarsi c’avrebbe pensato in seguito.
Nel letto accanto al suo, a tarda sera, è salita dal Pronto Soccorso un’altra anziana signora, che per rispetto alla sua privacy chiamerò Pina. Pina era quasi sorda e così debilitata da non essere in grado neppure di arrivare sul letto assegnatole. L’infermiera che aveva spinto la barella, chiamata altrove dal suono del campanello di un’altra urgenza, l’ha abbandonata alle braccia della figlia che con grande sforzo di volontà è riuscita a trasferirla sul letto. Rimasta sola, la Pina, durante la notte è stata sottoposta a un prelievo per un esame dell’emocromo; erano le 10 e mezza passate quando nella camerata sono state accese tutte le luci e due infermiere, insensibili alle necessità di riposo delle altre ricoverate, hanno iniziato ad urlare per riuscire ad ottenere attenzione e collaborazione dalla terrorizzata Pina.
Forse, sempre a causa dei famosi tagli, lineari o perpendicolari che siano, negli ospedali non ci sono più i “paraventi”, quelle strutture mobili che in particolari situazioni consentivano ai degenti un minimo di intimità. Così mi è capitato di assistere alle medicazioni di ferite andate in suppurazione, di vedere e sentire gli effetti di chi se l’era fatta addosso e veniva ripulito alla meno/peggio dal personale addetto. Ma ho assistito anche a rantoli e a lamentazioni senza fine, al pianto infantile di uomini adulti.
In un ospedale il tempo è cadenzato da una serie di eventi: la terapia, i pasti, il controllo dei medici, le medicazioni, le visite dei parenti. In un ospedale nel quale vige il Protocollo di “emergenza economica” si attuano riduzioni. Le riduzioni non riguardano solo un risparmio in generi vari, ma sono trasversali e colpiscono beni essenziali e personale. Un ospedale dove viene ridotto il personale, quello in forze è costretto a sostenere turni estenuanti e a rispondere delle necessità di un numero di ricoverati superiore alle sue possibilità. Stanchezza e stress, quindi, su alcuni infermieri generano reazioni ed errori. A me è capitato di non ricevere una “stupida” pillola per il diabete, e di sentirmi presa in giro dall’addetta che avevo chiamato per risolvere il problema. Ma ad altri potrebbe andare peggio, molto peggio.
Ho parlato di “colazione” e “pranzo”, ma forse si tratta di paroloni per degli eventi molto miseri. Avete mai preso un tè in una fondina di carta? No? Beh, a me è capitato.
Gli alimenti in ospedale, in molti casi, sono parte della cura stessa, ma in tempi di Protocolli di emergenza la qualità degli stessi degenera e diminuisce, viene soppressa la “merenda”, e le stesse posate di plastica subiscono riduzioni lineari. Così può capitare che si debba mangiare la minestra con la forchetta, non essendoci compreso -nel kit del coperto- un cucchiaio.
E alla fine può capitare di restare in attesa di un intervento dalle 7 del mattino alle 17 del pomeriggio, senza né bere né mangiare, e alla richiesta di informazioni ti venga risposto: un po’ di dieta non può che farti bene!... con risatina al seguito. E poi scoprire che l'operazione è rinviata a data da destinarsi...
Può capitare anche di essere ricoverati per fare un esame particolare –per il quale si sarà trasportati in un altro ospedale- ed essere dimessi dopo 10 giorni senza aver fatto l’esame perché l’apparecchio deputato all’indagine nel frattempo si è rotto.
Mi è stato precisato che il reparto Chirurgia degli Ospedali Riuniti Anzio-Nettuno è stato definito da alcuni un Paradiso in confronto a quanto accade negli ospedali di Roma. In effetti molti di noi hanno seguito i servizi/denuncia sulle condizioni di diversi Pronto Soccorsi della Capitale, girati dai giornalisti della trasmissione Piazza Pulita, ma quella cui io ho assistito in cinque giorni è quotidiana malasanità generata da tagli e turni estenuanti del personale medico e paramedico. In pochi, tra quelle/i che mi hanno assistito trovano ancora la forza di sorridere, per la maggior parte i volti di medici e infermieri erano stanchi e tirati, oppressi dal timore per il loro posto di lavoro, dalla soppressione di interi reparti. Il più recente, ma non l’ultimo, quello di Pediatria, che ha fatto sì che un bambino Rom, dal Pronto Soccorso, fosse portato in una camerata di uomini e anziani.
In un Paese sull’orlo di una crisi economica irreversibile, a un passo dalla bancarotta, non si dovrebbe aspettare il morto per far intervenire la Magistratura. Se i Politici della Casta vogliono ancora fregiarsi di un ruolo, forse, dovrebbero staccarsi dalle loro poltrone istituzionali, e andare in giro nelle strutture sanitarie italiane, sforzarsi di guardare, e magari di capire, come mal funzionano i luoghi deposti alla cura dei loro concittadini, dove migliaia di persone ogni giorno patiscono più del dovuto, dove ad ognuno è persino strappata la possibilità di soffrire con dignità.
|
Giovedi, 18 Aprile 2024 16:18:27 CercaThis Web Site can be translated to your language:
|
||
|
|||
Istituzionale |
|||
Pianeta Queer è Supplemento di Leggereonline News pippoplutopaperino |