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Omosessualità in Medio Oriente

 

cover-apertura


Il saggio di Nicolamaria Coppola affronta un tema complesso e articolato coinvolgendo il lettore anche attraverso i racconti di persone omosex che hanno toccato con mano soprusi, ingiustizie e violenze. Per approfondire e comprendere meglio abbiamo rivolto alcune domande all’autore.







 

Nei Paesi arabo-islamici di omosessualità di può morire. Ovvero si può essere condannati a morte per il reato di omosessualitàEd è proprio da questa consapevolezza che trae origine Omosessualità in Medio Oriente di Nicolamaria Coppola. Una consapevolezza che va al di là del lavoro sul campo svolto dall’autore in Iraq e Giordania e che nasce dal desiderio di approfondire un tema articolato e complesso.


Coppola, nel saggio edito da Aracne, esplora con molta determinazione e franchezza tutti i lati del problema passando in rassegna le prospettive mediorientali non sempre compatibili con quelle dell'Occidente. Inoltre molto spazio viene riservato ai racconti dei diretti protagonisti e degli attivisti Lgbt che in questi anni hanno continuato a lottare mettendo spesso in gioco la loro stessa vita.
Leggendo Omosessualità in Medio Oriente mi sono sentita coinvolta nelle lotte di queste persone così lontane da me, ho preso molti appunti pensando di riversarle nella recensione. Ma, come spesso accade, davanti al computer ho iniziato a digitare senza tener conto di quanto avevo scritto e con il desiderio di trasmettervi le emozioni suscitate dal testo.


In primo luogo, devo ringraziare Coppola perché dal suo saggio ho imparato molto sul popolo arabo, sulla sua storia e di conseguenza1nicolamaria-coppola sui conflitti odierni. Ma non spaventatevi, non è una noiosa elencazione di dati e avvenimenti, l’autore è riuscito ad andare oltre i fatti storici, comunicando le radici e l’essenza di quello che noi ora vediamo accadere nei Paesi arabi.

Dal saggio emerge che la società islamica non può rinunciare a una fusione tra Stato e religione, però alcuni esponenti della cultura e dell’islamismo illuminato non accettano questa tesi e propongono letture diverse. L’islam è un dogma immutabile o, come ogni religione, può essere reinterpretata?
È bene comunque ricordare che i paesi arabi non hanno firmato la Carta dei Diritti dell’Uomo e ne hanno redatta una loro che ha come riferimento il Corano e dove l’orientamento sessuale è esplicitamente escluso.


Ma quello che più colpisce è la capacità di Coppoladi condividere con il lettore le esperienze vissute dai protagonisti, quegli uomini e quelle donne che quotidianamente si mettono ingioco per cercare di dare una speranza alle persone omosessuali. A volte tentando di pubblicare un blog o sito dove denunciare quanto accade, altre semplicemente cercando di organizzare incontri, e tutto ciò, ogni volta, rischiando la vita.

Un capitolo che mi ha particolarmente coinvolta è quello dedicato ai richiedenti asilo politico, la maggior parte dei Paesi europei non raccoglie dati statistici sul numero di omosessuali che hanno richiesto asilo. L’autorità della Palestina non si è espressa, mentre Hamas condanna l’omosessualità e i gay perseguitati spesso si rifugiano in Israele. Anche l’Italia, ebbene sì, ha concesso la status di rifugiati politici ad alcuni ragazzi omosessuali.
Arricchiscono il saggio la prefazione di Emanuela Claudia Del Re e la parte finale che propone una ben  documentata bibliografia e sitografia.


La lettura del saggio, che ovviamente vi consiglio, ha generato in me molte curiosità, per questo ho deciso di  approfondire l’argomento rivolgendo alcune domande a Nicolamaria Coppola.
M.Z.


Quattro chiacchiere con l’autore


D. La decisione di scrivere affrontare l’argomento dell’omosessualità nei Paesi con religione musulmana è legata al tuo lavoro nei campi profughi?
R. No, è nata indipendentemente e a prescindere, ma è stato anche grazie al lavoro sul campo in Iraq e in Giordania che ho potuto costatare alcune situazioni di cui ero venuto a conoscenza tramite persone del posto contattate precedentemente. Ho deciso di approfondire la questione dell'omosessualità nei Paesi arabo-islamici perché da conoscitore delle cosiddette “minoranze sessuali” volevo capire in che modo la comunità LGBT vivesse nelle terre d'Oriente. Nel 2012, per puro caso, mi sono imbattuto nella storia di Ayaz Marhoni e Mahmoud Asgari, i due ragazzi iraniani impiccati con l'accusa di sodomia nel 2005, e sono rimasto letteralmente scioccato da questo episodio barbaro e criminale. Mi sono avvicinato al tema e ho cominciato ad indagare, leggendo tutto quello che c'è in letteratura ed entrando in contatto con quante più persone del posto. Non nego che il viaggio è stato lungo e faticoso, e più andavo avanti nella ricerca più mi rendevo conto del dramma vissuto quotidianamente dai gay e dalle lesbiche mediorientali. Raccontare le condizioni in cui vivono gli omosessuali in quella parte di mondo che è stato la culla della civiltà è diventato, quindi, quasi un obbligo. Un obbligo per tenere alta l'attenzione su una questione tanto delicata quanto poco affrontata dai media tradizionali; un obbligo nei confronti dei gay arabi che sono costretti a scappare dal loro Paese per vivere serenamente la propria omosessualità; un obbligo verso tutti i ragazzi che ho personalmente incontrato ed intervistato e che vorrebbero un Iraq piuttosto che un Egitto o un Marocco o un Iran in cui vengano rispettati i diritti di tutti; un obbligo nei confronti di Ayaz Marhoni e Mahmoud Asgari che hanno perso la vita perché innamorati l'uno dell'altro. 


D. Nel tuo saggio descrivi molte situazioni davvero incredibili considerando che siamo nel XX secolo: quale aspetto ti ha colpito di più?
R. Ciò che mi ha colpito di più di tutta la questione omosessuale in Medio Oriente è questo immenso paradosso che vede, da un lato, la condanna dell'omosessualità sul piano formale e, dall'altro, la pratica abituale e diffusa dei rapporti e delle relazioni omosessuali. Essere gay è tecnicamente illegale in tutti i Paesi dell'area mediorientale – ad esclusione della Giordania – ma è assai facile trovare uomini con cui fare sesso perché la società incoraggia gli uomini a stare con gli uomini e le donne a trascorrere tutto il loro tempo con altre donne. Paradossalmente, gli omosessuali arabi riescono anche a portare avanti una relazione gay senza particolari problemi, ma è fondamentale non dare mai nell'occhio, non mostrarsi mai in pubblico in quanto gay, e non mettere mai in discussione i ruoli sociali precostituiti che vogliono l'uomo essere uomo e la donna essere donna.


D. Al di là delle informazioni, spesso ignorate dal grande pubblico, il tuo lavoro colpisce per l’attenzione alla sfera personale di quanti vivono in quei Paesi, hai seguito anche casi di persone arrivate in Italia?
R. Il libro contiene una serie di testimonianze rilasciate da ragazzi gay conosciuti ed intervistati personalmente in giro per il Medio Oriente. L'approccio che ho deciso di avere nella stesura del libro è stato di tipo qualitativo perché sono dell'idea che i numeri e i dati da soli non bastino a dare il senso delle cose. È necessario, se non fondamentale, avere storie da raccontare, perché è attraverso gli occhi e le parole di chi vive una data situazione che si può essere veramente efficaci ed esaustivi. Ho avuto una grande insegnante a riguardo: la professoressa Emanuela Claudia del Re, la persona con la quale lavoro da diverso tempo e alla quale va il mio ringraziamento più grande per tutto quello che mi sta facendo vivere giorno dopo giorno, applica da anni il metodo qualitativo. Insegna Sociologia dei Processi Culturali, ed è esperta di geopolitica, geostrategia e relazioni internazionali: le sue ricerche sul campo hanno una marcia in più perché, forti dell'approccio qualitativo di cui Emanuela Del Re è maestra, sono in grado di toccare quelle cover-omosex-mocorde emotive ed emozionali che una ricerca asettica fatta di dati e numeri non è in grado di fare.
Purtroppo non ho raccontato ampiamente le storie di gay mediorientali venuti in Italia, ma nel capitolo dedicato all'asilo politico accenno alle esperienze di alcuni ragazzi gay provenienti dal Medio Oriente e giunti nel nostro Paese. Non l'ho fatto dettagliatamente perché il libro si focalizza sul Medio Oriente, ed ho preferito dedicarmi al racconto delle storie di ragazzi che vivono in quei Paesi. Tuttavia, ho conosciuti diversi ragazzi gay mediorientali venuti in Italia e le loro testimonianze sono state comunque importanti per ricostruire i percorsi legati all'omosessualità araba. L'Italia ospita ragazzi gay fuggiti dai loro Paesi d'origine in cui l'omosessualità è criminalizzata, e ha concesso a loro il diritto d'asilo e lo status di rifugiato politico. Checché se ne dica, l'Italia è uno dei pochi Paesi in Europa ad aver concesso lo status di rifugiato a ragazzi gay in fuga dal Medio Oriente: Hussyien Adnan, per esempio, è un giovane gay iracheno che, dopo essere fuggito dall'Iraq in Germania, ha ottenuto l'asilo in Italia ed è stato “affidato” ad una coppia omosessuale di Torino che si prende cura di lui.    

 

D. Nel tuo libro non vi sono testimonianze di donne, anche se tu dedichi spazio alla situazione delle lesbiche in Medio Oriente, hanno più timore ad uscire allo scoperto?
R. Ho scelto volontariamente di non parlare in maniera dettagliata dell'omosessualità femminile in Medio Oriente perché la questione è molto complicata dal momento che si interseca con la condizione femminile e con tutta una serie di aspetti legati al mondo delle donne che sarebbe stato impossibile esaurire in un capitolo. Le lesbiche mediorientali hanno sì paura di uscire allo scoperto per gli stessi motivi dei gay mediorientali, ma per una famiglia araba avere una figlia lesbica è apparentemente meno grave che avere un figlio maschio gay e l'atteggiamento dei genitori nei confronti di quelle ragazze che non dimostrano un particolare interesse per gli uomini è decisamente più rilassato. Due sono i motivi di un atteggiamento più morbido nei confronti dell'omosessualità femminile. Innanzitutto perché la società arabo-islamica, riponendo poche speranze nelle donne, non si preoccupa più di tanto delle tendenze delle figlie. In una tradizionale famiglia araba tutte le aspettative vengono riposte nei figli maschi e sono i ragazzi, dunque, a sentire più delle sorelle il peso del dover essere sempre all'altezza delle attese dei genitori. In secondo luogo, le inclinazioni lesbiche delle ragazze aiutano a ridurre alcune delle preoccupazioni che la famiglia manifesta quando una figlia diventa adolescente.
Ciò che si richiede a una giovane donna araba è di non disonorare la famiglia perdendo la verginità o rimanendo incinta prima del matrimonio, e il fatto che una figlia preferisca le donne agli uomini paradossalmente rassicura genitori e familiari: la ragazza non infangherà il loro nome mettendosi nei guai con qualche ragazzo, e l'onore sarà preservato senza problemi.


D. Omosessualità in Medio Oriente è un lavoro concluso o pensi di affrontare ancora questo tema?
R. No, Omosessualità in Medio Oriente non è un lavoro concluso perché ho intenzione di affrontare la tematica da altri punti di vista e prospettive e, soprattutto, intendo approfondire la questione nei Paesi islamici ma non a tradizione araba, tipo l'Indonesia. Vivendo ad Amman, vorrei raccontare cosa significa essere gay in un Paese come la Giordania dove l'omosessualità non è reato ma lo stigma sociale è assai elevato, e intendo, poi, concentrarmi sull'omosessualità in Israele, un Paese considerato da molti una vera e propria oasi felice per la comunità Lgbt ma su cui io ho un'altra tesi che vi  svelerò nel prossimo libro! 



Il libro

Omosessualità in Medio Oriente
Identità gay tra religione, cultura e politica
di Nicolamaria Coppola
Aracne Editrice
Pagine 328
Disponibile in versione cartacea e in PDF



Chi è Nicolamaria Coppola
Dottore in Editoria Multimediale e Nuove Professioni dell'Informazione con una tesi in Relazioni Internazionali  e giornalista  pubblicista  dal 2012. Esperto di comunicazione,  è attualmente  caporedattore di «Epos World View», magazine di EPOS International Mediating and Negotiating Operational Agency, un'organizzazione no-profit  indipendente  che opera nel campo della risoluzione e delle prevenzione  dei conflitti. Project Assistant e Coordinator di “My Future”, innovativo progetto di intervento umanitario creato da Emanuela C. Del Re, Presidente di EPOS, sta lavorando “sul campo” insieme ai rifugiati siriani, seguendo le trasformazioni sociali in atto in Medio Oriente.




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