Lettera ad Elsa Fornero

Elsa Fornero


Gentile Ministro Elsa Fornero, 
pur avendo molta confidenza con lo scrivere, non sono solita inviare lettere o e-mail alle autorità istituzionali del nostro Paese. (...)




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Gentile Ministro Elsa Fornero, 
pur avendo molta confidenza con lo scrivere, non sono solita inviare lettere o e-mail alle autorità istituzionali del nostro Paese. 

 

Eppure oggi, sono alla tastiera del mio computer solo per indirizzarLe il mio grazie, lapidario e scevro di secondi fini.
Poche ore fa, ho avuto la fortuna di ascoltare, su Rai24News, una Sua dichiarazione
, dichiarazione fatta nel corso dell’audizione nelle commissioni Affari costituzionali e Lavoro della Camera. Mentre le scrivo, nessun altro media, né in video né online, l’ha ancora riportata nella sua integrità, e questo – se mi permette – accresce il valore di quanto da Lei detto. Dimostra, ancora una volta, il disinteresse dei mezzi di comunicazione per le persone che troppo spesso si etichettano sotto la sigla Lgbtqi (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer e Intersessuali), cancellandone il valore di persone. Salvo precisazioni, l’oggetto della sua affermazione riguarda appunto le persone omosessuali e transgender che lei in quanto sì Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, ma anche con una delega alle Pari Opportunità ha fatto. E’ giusto un trafiletto, poche parole: «nei confronti degli omosessuali e dei transgender il mio impegno è pieno».

Io non so e, purtroppo, forse neppure Lei sa “se” e “come” potrà portare a compimento questo Suo impegno, ma in questo preciso momento della storia di questo nostro Paese e della mia vita personale questa Sua dichiarazione, gentile on. Elsa Fornero, mi conquista e mi aiuta a sperare nel futuro. Faccio parte di quel Movimento Lgbtqi che è più un coacervo di contraddizioni e di inconciliabili contrapposizioni, e da sempre sono abituata a vedere i partiti politici e le Istituzioni ricordarsi del nostri “diritti ignorati” all’appressarsi di elezioni, politiche o amministrative. Pur non avendo, spesso, neppure il diritto a veder riconosciuta la mia esistenza – in quanto lesbica sono costretta a subire la mancanza di diritti sia in quanto omosessuale che in quanto donna -, continuo a scrivere e a fare azione di diffusione culturale perché in questo nostro Bel Paese prima o poi ci vengano riconosciuti quel minimo di diritti che nella maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea sono ormai acquisiti da anni. C’è sempre qualcuno che “sembra” possa esser penalizzato dalla concessione di questi diritti basilari alle persone Lgbtqi. E così politici e Istituzioni, pur di non inimicarsi un ipotetico elettorato “conservatore e filo-clericale”, ci fanno grandi promesse durante la campagna elettorale che poi si perdono nei meandri di Montecitorio, nei cassetti delle Commissioni.

Siamo il popolo del silenzio, perché ormai non abbiamo più voce per gridare le nostre richieste, ma siamo anche il popolo del rainbow e dei colori, che almeno un giorno in un anno attraversa le piazze e i viali delle città, per ricordare al resto del Paese che esistiamo. Noi non sappiamo più a chi chiedere, con chi parlare, ma non riusciamo a scomparire nel nulla, noi che esistiamo solo perché abbiamo deciso di amare. La nostra colpa in fondo è proprio solo questa: amiamo.
Ma siccome qualcuno ha deciso che l’oggetto del nostro amore non era giusto, per il solo fatto di non avervi rinunciato ci siamo visti negare tutti gli altri nostri diritti.

Noi non abbiamo diritto a una casa, non abbiamo diritto a lasciare alla persona che amiamo - alla quale siamo legati magari da una vita in comune - né la nostra pensione né la nostra assicurazione, e se vogliamo lasciargli un’eredità… meglio non parlarne. Se ci ammaliamo, se improvvisamente siamo colpiti da una malattia debilitante, i medici e gli infermieri possono interdire proprio alla persona che amiamo il nostro letto, la presenza accanto al nostro capezzale. E se alla fine moriamo, di questo nostro corpo, hanno diritto tutti fuorché il nostro compagno. E se poi abbiamo dei figli, neanche loro – eredi della nostra stessa condanna – hanno diritti agli affetti, alle cure di quel convivente che solo per non essere madre o padre biologico, è trattato alla stregua di un estraneo. E le persone transgender? Quella loro esistenza così difficile che diventa puro dolore proprio per l’insensibilità di politici e Istituzioni… Quella macchinosa e kafkiana macchina burocratica che proprio nei confronti delle loro difficoltà esistenziali sembra aver tirato fuori il peggio di sé? Violando e violentando corpi e cuori, tentativi di esistenza, poveri corpi di persone in cerca di se stesse.

Ma non voglio tediarla oltre, gentile on. Fornero, con una casistica purtroppo pressoché tanto infinita quanto disumana. Forse, se oggi, è arrivata a questa dichiarazione, Lei sa più di altri, più di millantati riformatori illuminati che per anni ci hanno raccontato una fiaba per la quale però non è mai giunto il lieto fine.
La ragione per la quale le ho scritto è soprattutto una: manifestarle la mia gratitudine, il mio riconoscimento aldilà dei risultati che questa sua azione potrà guadagnare per noi, persone Lgbtqi.
Le chiedo, cortesemente, di scendere dal suo scranno e di concedermi di ringraziarla da donna a donna, perché io apprezzo l’umanità delle sue parole grazie alle quali oggi io sono potuta essere, ho guadagnato per pochi istanti il diritto ad esistere. Grazie cara signora Elsa Fornero, io non so cosa le permetteranno di fare per noi, persone Lgbtqi, quante volte squillerà il suo telefono, quanti richiami e interdizioni riceveranno la sua volontà e i suoi intenti, quante eminenze grigie e potenti fermeranno i suoi propositi… Ma oggi lei è con me, è sulla mia stessa strada e mi sta camminando accanto, con la sua sensibilità e la sua umanità, e di questo e per questo io le sono e le sarò comunque grata.
Buon lavoro,
Flaminia P. Mancinelli