HIV, non bisogna abbassare la guardia

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Hiv Aids
In Italia ogni giorno vi sono 5 nuovi casi di infezione, ma si parla sempre meno di Aids, prevenzione e supporto psicologico. Per fare il punto abbiamo rivolto alcune domande allo psicologo e psicoterapeuta familiare Alberto Vito.




In Italia ogni giorno ci sono 5 nuovi casi di persone che scoprono di avere l’Hiv. Ma nel nostro Paese si parla sempre meno di Aids e soprattutto non si affrontano i temi della prevenzione e del supporto psicologico. Per fare il punto della situazione e per saperne di più abbiamo rivolto alcune domande ad Alberto Vito psicologo, psicoterapeuta familiare, sociologo che dirige l’Unità Operativa S.D. di Psicologia Clinica presso l’A.O.R.N. Ospedali dei Colli a Napoli. Dal 2002 al 2006 Angelo Vito ha fatto parte della Commissione Nazionale per la lotta contro l’Aids presso il Ministero della Salute.

 

D. Dopo tutti questi anni non siamo riusciti a sconfiggere l’Aids, cosa è realmente cambiato dal 1981? L’Aids fa ancora così paura?Angelo Vito

R. Negli ultimi anni la storia clinica dell’infezione da HIV/AIDS si è significativamente modificata ed il panorama è radicalmente mutato. La situazione è molto cambiata, per due ordini di motivi. Il primo è l’introduzione di nuovi protocolli terapeutici, in grado di inibire la replicazione virale, che  ha determinato, infatti, un rallentamento dei processi patologici, una significativa riduzione della mortalità, e in definitiva una trasformazione della malattia da HIV in patologia ad andamento cronico. La maggior parte di decessi riguardano purtroppo l’Africa e le aree povere del pianeta ove tuttora è difficile accedere a cure sanitarie adeguate. L’altro cambiamento è di carattere epidemiologico: nei primi anni della sua comparsa la malattia in Italia riguardava soprattutto la popolazione tossicodipendente mentre negli Stati Uniti, ad esempio, ha coinvolto inizialmente la comunità gay. Oggi, in Italia, sono aumentate i casi di contagio attribuibili ai rapporti sessuali, sia etero che omosessuali, con conseguente riduzione delle altre modalità di trasmissione. Inoltre, il rapporto tra uomini e donne è 3,1 a 1 e l’età mediana dei nuovi infetti è aumentata in un decennio ed oggi è 39 anni per gli uomini e 36 anni per le donne. Tali mutamenti hanno anche modificato l’assistenza psicologica al paziente sieropositivo in quanto sono cambiate le caratteristiche sia della malattia che del paziente.

 

D. Com’è la situazione italiana? Vi sono molti contagi ogni anno?
R. In Italia vi sono circa 1500 nuovi casi di Hiv all’anno. Questo dato è costante da alcuni anni anche se negli ultimi due anni pare che tenda un poco ad abbassarsi. L’incidenza delle nuove diagnosi ha raggiunto il picco nel 1987, per poi abbassarsi gradualmente fino al 1998 e quindi stabilizzarsi. Non è un numero altissimo, in confronto ad altre patologie, ma comunque significa che ogni giorno ci sono in Italia 5 nuove persone che scoprono di avere l’Hiv. Non è possibile conoscere il numero esatto di persone complessive con l’Hiv nel nostro Paese in quanto, ovviamente, non si conosce il numero delle persone che hanno contratto il virus ma ancora non lo sanno. Secondo stime statistiche il numero di persone sieropositive in Italia, comprendente sia quelli che accedono alle cure sanitarie che non, dovrebbe attestarsi su 150-170 mila persone. Tale numero è destinato ad aumentare, sia pur lievemente, proprio in virtù dei successi delle terapie farmacologiche che consentono ormai una lunga sopravvivenza.

 

D. Come è possibile prevenire tali contagi? Quali regole è opportuno seguire per evitare il contagio?
R. Trattandosi di una malattia che ormai nel nostro Paese si diffonde quasi esclusivamente per via sessuale, le regole da seguire riguardano esclusivamente tale area comportamentale con la necessità di avere rapporti sessuali “sicuri” usando il preservativo. Laddove vi siano stati dei comportamenti a rischio, con rapporti sessuali non protetti con partner poco noti, è opportuno sottoporsi al test a distanza di circa 3-6 mesi. Giova ricordare che la sicurezza assoluta è garantita non dalla fedeltà di un individuo al proprio partner, ma dalla reciproca fedeltà, anche del partner.

  

D. A quali persone sieropositive consiglierebbe l’assistenza psicologica?
R. La scoperta della condizione di sieropositività va intesa come un evento critico che modifica il ciclo vitale dell’individuo e quello familiare, assumendo anche molteplici significati simbolici, con notevoli ripercussioni sul piano esistenziale ed affettivo. In tal senso è un evento stressante e la persona può beneficiare di un’assistenza psicologica. Porre la questione in questi termini significa affermare che la persona sieropositiva non è di per sé affetta da problematiche psicologiche, ma che vive una condizione esistenziale particolare e può beneficiare dal confronto con un esperto. La persona sieropositiva va aiutata a convivere con l’infezione da HIV e con le complesse questioni psicologiche e relazionali che essa pone.

Stop Aids
Ad esempio, nella fase iniziale, spesso una persona sieropositiva non sa a chi confidare la propria condizione. In tal modo, avviene che allo stress conseguente alla propria patologia organica, si associa uno stress aggiuntivo – talvolta anche maggiore – connesso alle strategie con cui si affronta la malattia. Ad esempio, se il paziente è un adolescente, può accadere che non voglia dirlo ai genitori anziani per non preoccuparli, ma ciò  comporta che esegua i controlli medici ed assuma le medicine di nascosto, con un carico emotivo ancora maggiore. Una persona sposata può avere difficoltà a comunicare la propria diagnosi al partner temendo che ciò possa avere conseguenze catastrofiche sulla propria vita di coppia, ma così facendo si assume un ulteriore peso emotivo. Nella consulenza psicologica si possono affrontare queste ed altre situazioni, individuando la soluzione personale più adeguata, nel rispetto assoluto della libertà del paziente, ma ragionando insieme sui pro e contro di ogni ipotesi. L’intervento psicologico deve essere quindi mirato a favorire il processo di accettazione, adattamento e reazione alla patologia. Spesso può essere utilmente allargato al contesto familiare. Tale aiuto è più facilmente accettato e richiesto da persone più disponibili al dialogo e disponibili al cambiamento.

 

D. Cosa si fa concretamente in Italia per informare?
R. Purtroppo, in Italia, si parla sempre meno di Hiv-Aids e vi è stata negli anni una riduzione drastica delle campagne informative. Questo, ovviamente,  non è bene.

 

D. A suo avviso come bisognerebbe organizzare una campagna di prevenzione?
R. Una buona campagna dovrebbe dare informazioni scientificamente corrette, in modo chiaro. Dovrebbe saper coniugare, senza creare allarmismi, l’importanza di mettere in atto comportamenti adeguati con la solidarietà ed il bisogno di non stigmatizzare o allontanare le persone sieropositive. In passato alcune campagne considerate molto “efficaci” erano quelle più allarmistiche, che però creavano un clima di isolamento sociale per le persone sieropositive. E’ vero, per certi aspetti, che la vera malattia è l’ignoranza. Andrebbe detto che convivere con l’Hiv è possibile (perché è vero), ma non per questo bisogna abbassare la guardia ed essere superficiali o distratti. La prevenzione è comunque la via maestra da seguire.
(a cura di M.Z.)

 

 

LINK:

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