Omofobia, quando i riflettori si spengono...

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Cosa succede quando si spengono le telecamere e si torna alla vita “normale”?
Dino Senigagliesi, vittima di una grave aggressione omofoba, lo racconta a Pianeta Queer.





 

Nella notte tra il 21 e il 22 agosto 2009 Dino Senigagliesi è stato aggredito e accoltellato da Alessandro Sardelli detto “Svastichella”.
Il motivo? Omofobia. “Svastichella” con il rito abbreviato è stato condannato a 7 anni, poi in appello, giudicato seminfermo di mente, ha visto la sua pena ridotta a 4 anni, che sta attualmente scontando in carcere; probabilmente uscirà nel 2013.
svastichellaDino si porta ancora addosso le ferite fisiche e psicologiche della brutta aggressione subita, e in questa lunga intervista ha cercato di raccontarci anche quali sono oggi le sue difficoltà.

L'AGGRESSIONE
D. Facciamo un salto nel tempo e torniamo alla sera dell'aggressione, cosa accadde?
R. Io ero al Gay Village di Roma con il mio compagno di quel periodo, era tardi ed eravamo affamati, così decidemmo di uscire e prendere un panino in un chiosco/bar adiacente al Gay Village. Nonostante l'ora tarda, c'erano una trentina di persone e noi, dopo aver acquistato un panino, ci eravamo seduti sui panettoni di cemento, uno di fronte all'altro, ogni tanto ci scambiavamo un bacio e ci abbracciavamo.
Improvvisamente è arrivato un uomo che, con aria molto aggressiva, ci ha detto che non potevamo scambiarci quelle effusioni perché intorno c'erano dei minorenni.
Io gli ho risposto che alle 5 del mattino mi sembrava un po' strano che ci fossero minorenni, e ho aggiunto che noi non stavamo facendo nulla di male né contrario alla legge. A quell'uomo la mia risposta non è piaciuta, ha finto di andarsene tranquillo, per poi improvvisamente ha colpito me e il mio compagno alle spalle con una bottiglia sbattendoci per terra. Non vedevo il mio compagno, ero confuso, mi girava la testa, ma mi sono alzato e mi sono ritrovato davanti lo stesso uomo con un coltello in mano. Non ho avuto neppure il tempo di pronunciare una sola parola: mi ha piantato il coltello nel corpo. Solo più tardi ho saputo che mi aveva colpito al diaframma e al polmone e che, se non fossero arrivati i soccorsi, sarei morto dissanguato.
Da quel momento mi si è annebbiato tutto, sono caduto a terra perdendo conoscenza, ero convinto di morire ...


D. E poi cosa è successo?
R. Mi hanno raccontato che al Pronto intervento sono arrivate 9 chiamate, ma io non le ho fatte e non so nemmeno chi abbia chiamato. Io non riuscivo a parlare, sentivo voci ovattate, non riconoscevo le persone. Dopo un po' di tempo, non so quanto, è arrivata l'ambulanza e mi hanno portato all'ospedale.
Al Pronto Soccorso mi hanno fatto una risonanza magnetica e altri esami. A me dicevano solo che dovevano richiudere la ferita ma io capivo che era grave, poi ho saputo che avevo un'emorragia interna ed era necessario operarmi subito.
Poi ricordo di essermi addormentato.


omofobiaIL RISVEGLIO IN OSPEDALE
D. Cos'è successo al tuo risveglio?
R. Quando mi sono svegliato ho capito che mi avevano operato e che si era trattato di un intervento importante. La stanza dell'ospedale era piena di gente; c'erano giornalisti, persone note, Vip, esponenti dei Partiti e della Comunità Lgbtqi. Per me molti erano degli sconosciuti.
Adesso, a distanza di 2 anni e mezzo, posso dire che avrei apprezzato un po' più di delicatezza, avrei preferito svegliarmi da solo o con pochi amici, e ricevere tutti gli altri in un secondo tempo. Dopotutto io mi svegliavo da un'anestesia, avevo subito un grave intervento, ero ancora confuso... Ecco da quel momento posso dire di essere entrato in un vortice, forse se avessi ragionato con più calma avrei evitato di diventare un personaggio pubblico. Ma questo posso dirlo adesso, al momento dell'aggressione ero sono molto impaurito, frastornato e vulnerabile.
E poi in ospedale sono arrivati anche i miei genitori con i quali non ho mai avuto un buon rapporto.

D. I tuoi genitori sapevano della tua omosessualità?
R. Lo sapevano, non era questo il problema. Al di là della mia omosessualità, con i miei genitori non c'è mai stato un vero rapporto, ci sono sempre stati tanti problemi che non avevamo mai affrontato.

D. Mi stupisce la tua affermazione sulla privacy, tu mi hai detto che avevi accettato di diventare un testimonial perché speravi che la tua scelta avrebbe contribuito all'approvazione della legge contro l'omofobia...
R. E' vero, ma la prima volta sono stato intervistato in ospedale e mi avevano assicurato che il mio viso non si sarebbe visto... Invece il mio viso è stato ripreso solo in parte e la voce era ovviamente riconoscibilissima. A quel punto ho pensato che forse la mia aggressione poteva aiutare le persone a capire cosa significa omofobia e quali danni può fare, per questo ho accettato di metterci la faccia.
Mi sono donato il più possibile ogni volta che mi veniva chiesto.


D. Quanto sei stato in ospedale?
R. Dieci giorni. Dopo aver tolto tutto il sangue, era necessario aspettare che il polmone tornasse alla normale funzionalità. E questo dipende dalla risposta individuale del fisico, fortunatamente il mio corpo – considerando l'intervento subito - ha reagito bene e dopo dieci giorni sono uscito dall'ospedale.
A quel punto è iniziata la convalescenza: pur avendo reagito bene non potevo tornare alla mia “vita normale”, non avevo ancora la completa funzionalità dello stomaco, non potevo fare sforzi, non potevo stare in piedi per molte ore... Insomma non ero ancora autosufficiente e sono stato costretto a tornare dai miei genitori.

D. E tu non volevi rientrare dai tuoi genitori?
R. Sinceramente per me è stato un sacrificio tornare a Macerata casa dei miei, ero un peso quando stavo bene, figuriamoci dopo l'aggressione, da invalido. La convivenza è durata solo 4 giorni, poi ho avuto forti dissapori con mio padre e me ne sono andato. Fortunatamente mio padre ha messo a disposizione uno degli appartamenti della mia famiglia. Mia madre veniva ad accudirmi. In quella casa sono rimasto 40 giorni.

omofobia manifestoIL RIENTRO A ROMA
D. Quando sei tornato a Roma dove sei andato a vivere?
R. Da amici. Quando sono rientrato a Roma ho iniziato ad arrangiarmi per quello che potevo fare perché fisicamente non ero in grado di lavorare una giornata intera.
Nei mesi successivi ho cercato lavoro presso vari negozi, ma il trattamento che ho ricevuto - che sapessero o meno dell'aggressione - è sempre stato lo stesso: totale sfruttamento.
In alcuni casi con l'aggravante di pesanti discriminazioni e battutacce omofobe, potrei raccontarti tanti episodi di cui ti stupiresti.

D. I tuoi amici sono rimasti o ti hanno abbandonato?
R. E' difficile rispondere a questa domanda: non posso dire che mi hanno abbandonato, piuttosto che sono stati intimoriti dalla mia esperienza. Mi spiego meglio: non mi sono stati vicini come speravo,
sia gli amici etero che quelli gay. Forse erano solo intimoriti dal mio forte disagio. Io ho lasciato correre, non ho detto nulla perché non volevo restare totalmente solo.
Quando sono tornato normale e sorridente, in grado di sdrammatizzare, gli amici sono tornati a frequentarmi come prima dell'aggressione.

I PROBLEMI PSICOLOGICI
D. Al di là del dolore fisico, mi puoi raccontare come ti sei sentito?
R. Dall'aggressione, per tutti i 40 giorni di convalescenza, mi sono sentito anestetizzato: non provavo nulla né emozioni né paure. Ero come circondato da ovatta, con tante persone che mi chiamavano per intervistarmi, chiedermi come stavo e incitarmi a tornare presto a Roma.
Tutti mi dicevano che c'erano molte cose da fare, che mi avrebbero aiutato a sistemare i problemi della mia vita personale come casa e lavoro. Mi ricordo che al quel tempo Vladimir Luxuria lavorava in una radio e mi chiamava per chiedere notizie, spesso mi mandava in onda.

homofobiaD. Come ti sei sentito quando è passata l'anestesia?
R. Tornando a Roma la realtà mi è caduta addosso, non c'era più nemmeno il mio ragazzo. Lui viveva in Spagna, era venuto per le vacanze in Italia e la notte dell'aggressione era l'ultima che trascorreva nel nostro Paese. Mi aveva invitato in Spagna, ma io provavo un forte malessere nell’incontrarlo, mi ricordava troppo l’aggressione.

D. Dopo l'aggressione hai avuto un supporto psicologico?
R. Sì, un supporto psicologico alla Asl, mi ha aiutato... ma i problemi sono rimasti.

D. Parlami dei problemi psicologici.
R. Da dove vuoi che inizi? Sono talmente tanti!
L'aggressione mi ha causato problemi di memoria e di espressione, non sempre mi vengono le parole, a volte rimangono sospese e non riesco ad esprimermi come vorrei. A volte balbetto e questo non mi era mai successo prima dell'aggressione. E poi l'insonnia, ne ho sofferto per un anno e mezzo, era dovuta a fattori psicologici; quando riuscivo a dormire, il mio sonno era agitato e sofferente. Quando mi svegliavo, poi, non sapevo cosa fare, e mi assalivano altri incubi.
Dopo l'aggressione ho avuto anche un grande rifiuto nei confronti degli uomini. Un rifiuto completo: paura di essere toccato, se qualcuno mi sfiorava per strada o anche a casa io facevo un salto. Di giorno, al supermercato, avevo una paura terribile. E poi tanta rabbia: era un misto di paura, rabbia, ossessione.
Ho attraversato varie fasi: la rabbia, l'autodistruzione, l'egoismo. Negli ultimi sei mesi sono stato pervaso da cinismo ed egoismo. Non mi importava di nessuno, pensavo solo a me stesso. E mi sembrava di stare bene, ma non era vero. Adesso credo di avere iniziato la fase della ricostruzione, però basta poco a buttarmi giù, a farmi stare ancora male.

D. Hai ancora paura di essere aggredito?
R. Prima ti ho parlato degli aspetti più evidenti che l'aggressione mi ha causato, ma ragionando mi rendo conto che ha generato ferite ben più profonde. Adesso ho superato la paura di uscire e di essere aggredito alle spalle, ma sono riemerse le paure che avevo da ragazzino, quando scoprii di essere gay, adesso provo vergogna, la stessa di quando ero un ragazzino. Ma non solo rispetto all’omosessualità, anche alle insicurezza legate all’adolescenza e al rapporto con i miei genitori.
Quindi dalla consapevolezza della tua omosessualità sei tornato alla vergogna?
Sì, adesso mi è tornata anche la vergogna di essere gay e di non essere accettato in quanto tale, anche sul lavoro. Vivo dei forti conflitti interiori, sono diffidente nei confronti dei miei amici e nella vita di coppia.

D. Hai una storia?
R. Forse... Diciamo che mi vedo con una persona... E questa persona mi vuole bene, mi sta vicino, mi supporta abbastanza, ma io ancora non mi fido completamente.

D. Pensi mai a quando il tuo aggressore uscirà dal carcere?
R. Al processo era stato condannato a 7 anni, poi in appello, grazie alla seminfermità mentale, sono stati ridotti a 4 anni e quindi nel 2013 uscirà dal carcere. A volte penso che il mio avvocato non si è impegnato come quello dell'aggressore...
Gli amici mi dicono che starà ben lontano da me, io non so cosa succederà, ma ogni tanto ci penso.

17maggio-no-omofobiaLE PROMESSE
D. Ma tu cosa ti aspettavi?
R. Quando i miei sono arrivati a Roma, la Provincia li ha ospitati in albergo per tutto il tempo della mia degenza. Io mi sono illuso e ho pensato che avrebbero aiutato anche me al mio rientro a Roma.Dalle Istituzioni mi aspettavo un gesto concreto contro l'omofobia.

D. Ti aspettavi che ti trovassero una casa? Un lavoro?
R. Sì, avevo creduto alle loro parole. Io non potevo lavorare tutta la giornata, non ce la facevo a stare in piedi otto/dieci ore, quindi speravo che le varie Associazioni, ma sopratutto le Istituzioni, mi dessero una mano.
Se rifletto posso solo dire che l'aggressione mi ha distrutto la vita: dovevo iniziare un lavoro nuovo e non ho potuto, avevo una casa e l'ho dovuta lasciare perché non avendo un lavoro non la potevo più pagare.
E' chiaro che io non pretendevo una casa in regalo, speravo semplicemente in un piccolo aiuto iniziale, per poter ripartire come prima dell'aggressione. Credo che con un po' di buona volontà sarebbero sicuramente stati in grado di assegnarmi una casa con un affitto “pro-forma” per qualche mese, almeno fino alla completa ripresa delle funzionalità del mio corpo. Ci sono tante case libere, ci sono persone che usufruiscono di agevolazioni che non meritano, io chiedevo un aiuto per iniziare, non certo per tutta la vita.
Imma Battaglia del DìGayProject mi aveva invitato per la chiusura del Gay Village, mi aveva chiesto di fare l'ospite d'onore, ma io proprio non volevo altri riflettori, io cercavo una casa e un lavoro.

D. Ma non eri stato allertato sul fatto che i politici fanno tante promesse che poi difficilmente mantengono?
R. Sì, gli amici e gli esponenti dell'Arcigay mi avevano avvertito, mi avevano detto di non farmi illusioni. Ma io ero preso in quel vortice ed ero convinto che mi avrebbero aiutato, che non mi avrebbero lasciato solo.
Pensa alla delusione e all'amarezza che ho provato quando sono andato a cercare le persone che mi avevano promesso aiuto e, invece, ho ricevuto una bella accoglienza formale e niente di più.

arcilesbica dichiararsiD. Oggi, se tu potessi rivolgerti alle persone che erano presenti nella camera d'ospedale cosa chiederesti?
R. Ci ho pensato molte volte e alla fine ho deciso che siccome erano tutte persone adulte, io vorrei chiedere loro solo una cosa: ma se in quel letto d'ospedale ci fossero stati i loro figli, loro si sarebbero limitati a confortarli soltanto quel giorno e durante la degenza o avrebbero fatto qualcosa di più anche dopo?
I miei ci sono riusciti solo in parte e io non mi vergogno a dire che sono rimasto proprio da solo.

D. Adesso rischi di dover tornare a Macerata? Col lavoro come sei messo?
R. Adesso sono precario, faccio qualche lavoretto, ho qualche cliente privato. Ma è difficile pensare di affittare una casa e progettare un futuro senza la sicurezza di poter pagare l'affitto o vivere. Sono, come tante persone purtroppo, nella precarietà più assoluta, e vorrei solo trovare un lavoro dignitoso.
Io rappresento una grande fetta di persone che vivono a Roma e nel resto d'Italia: i precari. L'unica differenza è che io avevo lavoro e una casa e ho perso tutto a causa dell'aggressione.

D. Cosa speri di ottenere con questa intervista?
R. Non lo so, parlando con te ho fatto una specie di bilancio di quanto mi è accaduto in questi due anni e mezzo. Di quanto quell'aggressione mi ha segnato la vita, mi ha causato problemi di depressione, facendo riemergere paure che avevo superato, vergogne... Mi sono sentito preso in giro, mi sono ritrovato da solo ad affrontare le mie paure, le difficoltà.

D. Purtroppo ho avuto anche la delusione della legge contro l'omofobia che non è stata approvata.
R. Io ci ho messo la faccia e molto di più, adesso mi sono arreso e non ho più voglia di battermi per i nostri diritti. Spero che unalt-omofobia giorno mi torni l'entusiasmo e la voglia di lottare.
E poi vorrei riuscire a far capire, a chi leggerà questa intervista, quanto un'esperienza come quella che ho vissuto io può cambiarti la vita. Prima dell'aggressione ero convinto di avere in mano la mia vita: prendevo decisioni, sapevo cosa fare. Adesso posso dire di stare meglio, sì, ma non riesco ancora a prendere decisioni, sono insicuro, impaurito. Sono diventato fragile... Ecco, sono tornato alle fragilità che avevo da ragazzino.
Marinella Zetti