Tre domande a... Andrea Pini

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Andrea Pini


Nell'estate 2011 Andrea Pini ha presentato al RainbowBar il suo ultimo libro Quando eravamo froci. Gli omosessuali nell’Italia di una voltaL’incontro, anche grazie alle letture di Leo Gullotta, (...) 





e alle sollecitazioni di Andrea Maccarrone, si è trasformato in un momento di analisi e riflessione sulla situazione della Comunità italiana.


Andrea Pini, che vive e lavora a Roma, ha iniziato a militare nel movimento Lgbtqi nel 1979 ed è tra i fondatori del Circolo Mario Mieli. Ha collaborato con Arcigay e con le riviste gay Lambda e Babilonia. Attualmente scrive per Pride. Inoltre è autore di “Omocidi. Gli omosessuali uccisi in Italia” (Stampa Alternativa, 2002). 


Nel saggio, Andrea Pini ricostruisce con inedite foto d’epoca e con interviste a protagonisti e testimoni diretti – da personaggi pubblici come Aldo Braibanti, Giò Stajano (recentemente scomparso) e Corrado Levi, a esponenti della cultura e dello spettacolo come Paolo Poli, Elio Pecora, Dominot e Gian Piero Bona, a semplici «froci di base» – un periodo storico della condizione omosessuale, e insieme denuncia l’atteggiamento cinico e oppressivo della società circostante. Atteggiamento che resiste ancora oggi nel linguaggio, nei comportamenti, negli atti violenti che continuano a essere praticati.

 


D. Considerata la grande mole di lavoro che hai svolto per scrivere Quando eravamo froci, come è nata l’idea di affrontare questa impresa?
R. Il lavoro è stato molto ma anche diluito nel tempo. Ho iniziato con le primissime interviste nel 2004 agli artisti Dominot e al caro Vinicio Diamanti, che nel frattempo ci ha lasciati. Pensavo di raccogliere alcune storie di vita. Poi è maturata l’idea più complessa di provare a ricostruire un’epoca sparita, e i cui testimoni cominciavano ad essere molto anziani. Così ho allargato il mio campo di interviste, cercando uomini gay diversi per mestiere, provenienza sociale e geografica (ma tutti dovevano aver avuto 20 anni negli anni 50!) e nel contempo ho iniziato un lavoro di ricerca che scavasse nella storia sociale italiana del periodo. Volevo chiarire (anche a me stesso) in cosa erano diversi da noi quegli omosessuali e cosa invece ci accumunava ed ho scoperto molte cose anche sorprendenti. Prima di tutto che gli anni 70 hanno significato uno spartiacque molto profondo: da lì ha preso il via una nuova e dirompente emancipazione omosessuale in Italia, il cui percorso dura tuttora. E contemporaneamente che gli anni del dopoguerra, fino a tutti gli anni ’60, sono serviti da laboratorio e da incubazione per il formarsi di una storia e di una cultura italiana intorno all’omosessualità. Quegli anni sono stati durissimi per i gay (che non si chiamavano ancora così), le lesbiche e le primissime travestite e transessuali. Anni di controlli polizieschi, schedature, denunce, arresti, processi, condanne, esclusioni sociali. E sono stati anni di continue censure, distorsioni caricaturali ed emarginazioni culturali di tutti i tentativi realizzati attorno a temi omosessuali. Era concesso di parlarne male e solo in articoli di giornali e riviste a partire da fatti di cronaca e di costume. Nello stesso tempo, però, e questa è stata un altra aspetto sorprendente della mia ricerca, l’ipocrita filosofia del “Si fa ma non si dice” permetteva ad intere generazioni maschili di accedere con estrema facilità ai piaceri omoerotici, che erano praticati diffusamente sia dai maschi “etero” che dagli omosessuali più intraprendenti e liberi, sia da quelli più nascosti, magari sposati, che comunque si concedevano scappatelle a ripetizione.... tanto lo facevano tutti!

 


D. Qual è stata la parte più complessa nella realizzazione del progetto e quali difficoltà hai dovuto superare?
R. Una difficoltà è stata quella di trovare testimoni di età giusta, disposti a farsi intervistare su temi così intimi e personali. L’altra è stata incrociare e coordinare fra loro in modo organico tutti i dati e i fatti che andavo recuperando sia dalle storie personali, che dalle mie ricerche. Volevo ricostruire un affresco a partire dai tanti frammenti disponibili ed anche dare il giusto risalto alle preziosissime testimonianze dei miei intervistati. Poi naturalmente ci sono state anche difficoltà legate al mio lavoro e ai miei diversi impegni di insegnante e giornalista, al tempo sempre scarso per tutto!

 


D. Raccogliere informazioni, intervistare persone, scavare in un passato che, per alcuni aspetti, è ancora molto presente, quali emozioni ha evocato in Andrea Pini la scrittura del saggio?
R. Sorpresa, piacere, ammirazione, soddisfazione.... Ho amato molto i racconti dei testimoni e considero una fortuna l’aver avuto la loro fiducia e ancora li ringrazio. Ho provato stupore nello scoprire una valanga di articoli di stampa sul tema: spessissimo in chiave negativa, ma il tema c’era! E contenevano una miniera di informazioni. E poi vedere che il passato è stato così importante anche per il movimento gay, al quale ho partecipato attivamente sin dalla fine degli anni 70! Noi giovani contestatari e “rivoluzionari” credevamo di agire su una tavola vuota, pensavamo che prima di noi e delle nostre idee libertarie esistesse solo un po’ di sesso rubato e basta.... Invece molto bolliva in pentola, anche grazie ai lavori di Pasolini, di Testori, di Visconti, di Arbasino, all’impegno di Moravia e della Morante, alle posizioni pubbliche di Pannella e dei Radicali, ai molti articoli critici usciti su L’Espresso, a coraggiosi film come “Certo, certissimo... anzi probabile”, al ruolo pubblico e tragico di Aldo Braibanti..... Un passato che è passato ma arriva fino ad oggi come filo rosso della storia dell’omofobia in Italia. Anche questa è una constatazione se vuoi banale ma è forte, perché capire che le l’omofobia non nasce dai volgari ragli dei nostri politici leghisti o conservatori (fatti comunque gravissimi e molto seri) ma hanno radici ben più profonde e che è necessario ancora molto lavoro, può dare forza anche alle nuove generazioni in apparenza viziate e svogliate. Molti giovani hanno letto o stanno leggendo il mio libro e questa, per me, è una cosa molto bella. 
Marinella Zetti